Matteo Fronduti, chef del ristorante Manna di Milano, una grandissima mano e una tecnica che gli permettono di usare tutti gli ingredienti in modo creativo
Un’affinità elettiva con il maiale, per sua stessa ammissione, una passione sfrenata per le frattaglie. Una grandissima mano e una tecnica che gli permettono di usare tutti gli ingredienti in modo creativo, trovando comunque l’equilibrio nel piatto. Un phisique du role che lo rende temibile, ma con un animo nobile che si svela a poco a poco, una naturale predisposizione al divertimento. È Matteo Fronduti, chef del ristorante Manna di Milano e grandissimo cultore di tutto ciò che col maiale ha a che fare.
Raccontaci di questa tua particolare predilezione: da dove nasce?
Io e il maiale siamo la stessa cosa, con il maiale ho un rapporto privilegiato per affinità elettiva. Perché lui, come me, è inarrestabile: non ha il raziocinio della sazietà. Quindi soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione siamo vicini. Ma in realtà per me questo è anche un approccio alla vita: non mi sono mai dato troppi freni. So che questa cosa ha effetti collaterali, ma pazienza. I problemi che derivano dalle scelte sono solo pensieri laterali. Insomma, sono senza pace, non sono mai sazio. Proprio nella vita!
Qual è il tuo primo ricordo legato ai salumi?
Alle elementari ho partecipato a un campo natura del WWF in Alto Adige e mi ricordo distintamente di aver assaggiato una salsiccia stagionata: non era salame ma nemmeno salsiccia cruda, era stagionata e affumicata. E quella è stata la prima volta che ho assaggiato una cosa affumicata vera e per me quella è stata un’epifania. Era un gusto completamente nuovo, che non possedevo e che mi è piaciuto. Ancora oggi l’affumicato mi piace molto e spesso lo uso come arma nei miei piatti.
L’affumicato è un gusto che ami particolarmente: perché?
Qui al Manna stiamo provando ad andare oltre all’affumicatura. In origine l’affumicato era il sapore del cotto, poi quando abbiamo avuto il controllo della fiamma e lo strumento per trasferire il calore è cambiato, il fumo nel piatto non c’è più stato. Noi stiamo provando cotture non a fuoco, però con la legna come parte integrante della cottura: l’alimento quindi non cuoce per il fuoco ma con la legna che diventa l’effetto collaterale della cottura. Così l’affumicatura disgiunta dalla cottura ti regala un sentore di fumo interessantissimo.
Che parte hanno i salumi nella tua cucina?
A casa la mamma cucinava tanto, quindi i salumi non erano così presenti. Ma il salume della quotidianità di casa è di sicuro la mortadella, da sola e con il pane. L’affezione e la predilezione per la mortadella mi è rimasta, e ad oggi è il salume che mangio con più piacere. Non è considerata gourmet, è sempre legata a un piano B: insomma, non è il culatello! Eppure io l’ho valorizzata facendola entrare in carta in varie declinazioni: negli impasti polpette della gastronomia, pasta reale arrostito e servito con stracchino e mortadella, in una salsa.
Un altro salume che uso in cucina è il prosciutto crudo, per esempio nel riso prosciutto e porto. Il salume in questo caso è sgrassato, essiccato e poi polverizzato e posto sopra a un riso al parmigiano in bianco, con riduzione di porto in purezza a dare dolcezza al tutto.
E poi c’è il guanciale: versatile, può essere usato sia crudo che essiccato che arrostito: usato in gastronomia è divertente.
Da quando abbiamo riaperto stiamo mettendo alla prova un dolce che ha una frolla al bacon con gelato al pop corn, caramello salato e fave di cacao.
Ma i salumi non sono solo nei piatti…
Da quando abbiamo aperto la Gastronomia di Periferia abbiamo proposto oltre a piatti pronti da rigenerare a casa anche una serie di prodotti che normalmente si comprano proprio in gastronomia. E nelle selezione ho inserito anche mortadella e salame, i miei salumi preferiti, i più ‘ignoranti’ e i meno considerati dai gourmet.
Sono i due salumi che hanno meno etica e meno narrazione, nell’immaginario collettivo sono i figli di un dio norcino minore. Se però ne trovi di fatti bene, di davvero buoni, senti una mostruosa differenza di qualità.