Lo Chef Simone Tricarico racconta la sua scelta di trasformare un bisogno nel gusto e il suo rapporto con i salumi
Giovane ma con grandi esperienze alle spalle: Simone Tricarico si è formato per lunghi anni all’estero, ad imparare da grandi maestri come Ducasse, Barbot, Bras. È rientrato in Italia passando anche per Milano, dove l’abbiamo intervistato mentre lavorava al Fioraio Bianchi Caffè.
I salumi, per Simone, sono un’ispirazione e un ricordo. Ha un grande rispetto per chi li produce, tanto da usarli solo ‘in purezza’ quando decide di inserirli nelle sue preparazioni, per evitare di snaturarne sapore e consistenza.
Per Salumi Pasini ha dato carattere ai ravanelli con una crema di lardo, per un aperitivo croccante e morbido pieno di gusto. E ha poi pensato ad un carciofo spinoso ripieno arrostito al guanciale Salumi Pasini.
Perché hai scelto questa professione?
L’episodio determinante per la scelta di questo lavoro è familiare: volevo far diventare quella che per la mia famiglia era solo un’esigenza qualcosa di più.
Lo scopo primario è nutrirsi, chiaramente, ma il secondo è il gusto. In casa cucinare era solo rispondere al bisogno di nutrirsi, ma io fin dagli 8 ai 10 anni ho sempre pensato che dovesse esserci qualcosa di più.
Hai viaggiato molto all’estero: hai incontrato spesso i salumi alle tavole dei grandi Chef?
Da Ducasse c’erano, prevalentemente la pancetta. Da Pascal Barbot un grande classico era il croque-monsieur che veniva preparato per il pasto del personale.
Lo farcivamo con un prosciutto cotto artigianale, che produceva un amico dello chef: lui voleva aiutarlo e per questo pur non usandolo nella carta del ristorante stellato lo serviva a noi e di tanto in tanto lo riservava a qualche amico che veniva a trovarlo. Mi ricordo che era buonissimo!
Qual è il tuo primo ricordo legato ai salumi?
Per me i salumi erano l’equivalente del pranzo del sabato, perché la mamma comprava i salumi dal salumiere. Era uno dei pochi momenti in cui si mangiava tutti insieme. Non so perché, ma non li mangiavamo mai di domenica.
E comunque il salume, a casa nostra, si identificava con il prosciutto crudo il Parma all’inizio: il preferito di mio papà.
Come usi i salumi della tua cucina?
Credo che i salumi vadano toccati il meno possibile, se sono stati prodotti con criterio. Quindi il nostro lavoro deve essere esclusivamente di selezione della persona e del prodotto, e poi di creatività nell’utilizzo. Ma lavorandoli il meno possibile.
Quali sono i tuoi salumi preferiti?
Amo il culatello, la ‘nduja, forse perché ricorda molto la soppressata. E poi mi ricorda un condimento che facevamo a Parigi che aveva all’interno del chorizo. È un sapore di memoria.